Plus Magazine 39

10 DICEMBRE2022 | PLUS MAGAZINE lavorare” sono tre film dedicati al lavoro. Cosa l’ha portata a raccontare questo mondo? Dopo i documentari su Elsa Morante, dedicato ad una immensa scrittrice e pensatrice, e su Carlo Giuliani, ho cominciato a pensare al tema del lavoro, della persona e delle condizioni sociali. Mi è stato chiesto di impiegare l’immenso archivio delle Teche Rai e io decisi di raccontare la storia del movimento operaio, dagli anni Cinquanta fino agli albori degli anni Ottanta, fino alla fabbrica di oggi dove ci sono molte operaie donne e straniere. Questi estratti raccontavano il cinema e la tv, era un periodo in cui i grandi registi si occupavano di fabbriche. Nasce così “In fabbrica” : partendo da materiali esistenti ho voluto dare un mio sguardo espresso dal montaggio. Come si raggiunge una sintesi di fronte a tanto materiale? Serve molto tempo. Per arrivare alla sintesi bisogna conoscere, entrare dentro le storie, nelle vite. E non bisogna ancorarsi al passato. Noi italiani dovremmo evitare il sentimento della nostalgia che impedisce la memoria. Non bisogna rimpiangere quel che c’è stato ma bisogna conoscerlo, rispettarlo, criticarlo, attraverso un processo di assimilazione e riconoscimento di qualcosa che è in noi, non di rimozione. La nostalgia porta alla rimozione, a dire - sbagliando - che tutto prima era bello. Si nota una sua propensione a scrivere o coscrivere le sceneggiature. Come mai? Quello che conta per me è dare un grado elevato di realtà, intesa non come realismo ma come autenticità. Lo si ha mettendo qualcosa che io conosco bene o che se non conosco direttamente riesco a capire partendo da me. Anche nei personaggi molto lontani da me ho il bisogno di riuscire a capire il loro mondo reale. Per questo mi piace entrare nella scrittura. Elsa Morante diceva che c’è molta più realtà in una favola di Grimm che in un documentario realista. Ho bisogno di trovare un percorso che mi faccia sentire, emotivamente, come fare le scene. Partecipare alla scrittura mi permette di fare questo passaggio. PROTAGONISTI La vita reale torna nel film “Mobbing”, interpretato da Nicoletta Braschi. Ci sono due motivi per cui scatta il mobbing nei confronti delle donne: uno riguarda le molestie e l’altro si verifica nel 90% dei casi quando si diventa madri. Questo filmè un ritratto di una donna che lavora e cresce da sola la figlia. Allo sportello per il mobbing della Cgil ho filmato i racconti di donne che avevano subito mobbing. Da qui ho tratto la storia del film, basata sui racconti di persone completamente devastate da persecuzioni, isolamento e gogna. La parte con cui emotivamente mi sentivo di entrare più in contatto era quella che queste donne non riuscivano a raccontare per vergogna: il mobbing le spingeva all’esaurimento totale e non riuscivano più ad occuparsi dei figli, così si sentivano cattive madri. Nel film è la figlia della protagonista ad aiutarla a sconfiggere i suoi aggressori. Anche in “Gomorra” c’è un suo sguardo reale al tema del lavoro. In una puntata ho trattato la costruzione ex novo di una piazza di spaccio come luogo di indotto lavorativo in funzione 24 ore al giorno, raccontandolo in modo antropologico: vedette, turni, fabbri che creano grate, case occupate. Un vero sistema lavorativo pianificato in ogni dettaglio. In un altro episodio ho trattato il posto di lavoro come merce: il fatto che i disoccupati per poter lavorare pagano alla camorra 15mila euro per avere un lavoro in ditte che erano state ricomprate dalla malavita. A proposito di lavoro si parla tanto anche di smart working. È un tema da indagare: da casa sembra di non lavorare mai e invece si lavora sempre. Oggi andrebbe raccontato anche l’agire sulla psicologia per insinuare il dubbio di meritarsi davvero un lavoro. Accade inmodo preventivo sui giovani, all’ingresso nel mondo del lavoro. Mi appassiona raccontare i destini individuali dentro ai sistemi sociali. La correlazione dell’esistenza delle persone con le modalità di lavoro è un tema spesso troppo ignorato.

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