15 PLUS MAGAZINE | SETTEMBRE 2024 Da calciatore hai vissuto un periodo in cui il rapporto tra giocatori e club era davvero centrale. Nel calcio di oggi cosa succede? Si può ancora parlare di bandiera? Il calcio è cambiato tantissimo. Ci sono nuove generazioni che magari hanno un altro tipo di attenzione e queste bandiere magari si vedono meno. Io mi auguro che si possa tornare un po' a quei momenti che ho vissuto io, perché vi posso garantire che quello che è stato il mio percorso, difendere soltanto una maglia durante tutta la mia carriera, per me è stato sempre un motivo di grande orgoglio, di grande onore. Ero e sono molto felice perché questo legame continua, un legame che rimarrà per sempre. Non dimentico che quando sono arrivato, che ero uno sconosciuto, l'Inter mi ha aperto le porte, mi ha accolto come un figlio. L'Inter è una grande famiglia e dall'inizio io l'ho sempre sentita in questa maniera. I rapporti umani per me fanno la differenza. C'è anche la grande famiglia della nazionale argentina, dove sei al terzo posto per numero di presenze, dopo Messi e Mascherano. Una famiglia che ha coronato il sogno all’ultimo Mondiale. Si diceva proprio che una delle vostre forze fosse quella di essere molto affiatati, giovani che avevano accanto vecchie guardie, parenti, amici. Questo è un po' quello che racconto nel mio ultimo libro (“Un legame mondiale” edito da Mondadori, ndr) dove parlo di un grande sentimento verso la nostra terra, una nazione che ci ha dato tanto. Che questa Coppa del Mondo sia finita in mano di Lionel Messi mi rende molto felice, perché l'ho visto crescere, l'ho visto fare i suoi primi passi, giocavamo insieme e si vedeva che aveva qualcosa di straordinario. Anche lui ha attraversato momenti di grande difficoltà, questa Coppa l’aveva persa tante volte, ma poi in Qatar finalmente è riuscito a compiere il suo sogno. È stata una gioia di tutto un intero paese che era accanto a questi 25 ragazzi che hanno reso felici più di 45 milioni di argentini. In questo libro racconto che argentini e italiani si somigliano tanto nel modo di vivere il calcio, con passione. Racconto i Mondiali che ho vissuto come protagonista, come tifoso e anche quelli che mi hanno raccontato i miei genitori quando ero piccolo. Con la Fondazione Pupi vi adoperate per i diritti dei più piccoli. Come nasce il tuo soprannome Pupi? Da un allenatore in Argentina che aveva allenato prima mio fratello e poi me e che chiamava entrambi Pupi. Così quando, nel 2001, insieme a mia moglie Paula, abbiamo deciso di creare questa fondazione che lavora con tanti bambini in Argentina l’abbiamo chiamata Pupi. Sentivo la responsabilità di restituire al mio paese tutto quello che mi aveva dato. Credo si debba investire sui giovani che sono il futuro di ogni nazione e poterlo fare da tanto tempo ci rende molto felici. Il campionato italiano oggi non è più attrattivo come era ai tuoi tempi. Cosa si può fare in questo senso? Oggi la Premier è al primo posto ed è difficile competere perché gli introiti sono molto diversi da quelli che arrivano in Italia. Per cambiare questa situazione bisogna penZANETTI
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