Plus Magazine 46

28 SETTEMBRE 2024 | PLUS MAGAZINE tà complessiva delle banche a finanziare i soggetti che pur meritevoli sono in difficoltà, perché il quadro regolatorio quasi non consente più di farlo. Sono temi complessi, però noto che, a livello di strumenti normativi, il sistema italiano dispone del miglior Fondo Centrale di Garanzia Europeo, che protegge i finanziamenti alle PMI/ SME italiane attraverso l’assicurazione del credito, e forse per l’importanza di tale strumento non esiste invece alcun strumento operativo diretto di supporto all’equity delle PMI/SME, e neanche indiretto attraverso la fiscalità, né un sistema di intermediari finanziari e di quadro normativo efficace che aiuti la capitalizzazione o la ricapitalizzazione delle PMI/SME italiane che sono cronicamente sottocapitalizzate, c’è da dirsi talvolta anche per ragioni addebitabili agli imprenditori. In questi giorni mi sto occupando della raccolta delle sottoscrizioni di un fondo FIA dedicato all’investimento nel capitale di PMI/SME di una particolare filiera industriale del nostro paese. La nostra proposta è una novità per gli investitori che non sono abituati ad investire nel capitale di PMI/SME, anche attraverso un fondo dedicato. Anche l’esperienza dei PIR si è interrotta dopo l’ultimo cambio di normativa. Lei è fondatore e Amministratore Delegato di Aglaia Capital Partners, una società di consulenza che attraverso altre sue collegate, si occupa di transizione energetica, sviluppo tecnologico, consulenza finanziaria alle medie e grandi imprese così come di fornire supporto nella gestione ed ottimizzazione dei processi aziendali. Sì, metto la mia esperienza e quella del team di Aglaia a servizio degli imprenditori, dei CEO e dei CFO, secondo le loro necessità specifiche di operazioni ordinarie e straordinarie. L’ambizione è di creare nuovi leader di mercato e di ripetere alcune esperienze molto gratificanti. Ogni periodo storico ha le sue opportunità, oggi come nel passato. Oltre 180 Paesi hanno aderito agli accordi di Parigi del 2015, i quali si impegnano nel ridurre le emissioni di gas di almeno il 60% entro il 2030 rispetto ai valori registrati lo scorso 2019-2020, limitando quindi il surriscaldamento globale ad una soglia massina di 1,5, con l’ulteriore scopo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra ma senza incidere negativamente sulla nostra nutrizione. Un massivo investimento finanziario di ogni singola grande impresa non può che non essere previsto. È un progetto utopistico? All’esame di Maturità Classica non mi diedero il voto più alto perché risposi che l’imperativo categorico di Kant era anche qualcosa di reale e non solo un’utopia. Quindi per evitare lo stesso errore dico che l’ambizione di riduzione del surriscaldamento globale attraverso minori emissioni di gas serra è un’utopia bell’e buona, soprattutto per l’effetto che la riduzione delle emissioni di gas serra europei avrebbe nel mondo, dove l’Europa produce una componente di gas serra marginale rispetto al totale. Questo non significa però che il mondo della produzione, della trasmissione e del consumo di energia non debbano attraversare tutti i cambiamenti che più o meno, in diversi momenti storici, hanno attraversato tutti i comparti industriali, anche con lo scopo di ridurre le emissioni di CO₂. L’elettrificazione dei consumi termici è un dato di fatto che andrà avanti, non solo per il contributo della produzione da energie rinnovabili al totale dell’energia prodotta (nel 2023 il 44% in Italia, oltre il 50% in Spagna e Germania, il 27% in Francia – escluso il nucleare che lì è preponderante, etc.), ma anche per le nuove soluzioni tecnologiche che vengono offerte dall’industria ai diversi consumatori ed operatori, ad es. nel campo della riqualificazione energetica degli edifici, nell’economia circolare. L’Italia ha il tasso demografico più basso in Europa. Molti anziani, pochi giovani quindi un ridottissimo cambio generazionale in un mercato del lavoro fermo. I più bravi lasciano il nostro Paese per andare soprattutto in Germania, Spagna, Francia e Inghilterra. L’Istat ci racconta che dal 2011 ad oggi sono oltre un milione i giovani sotto i 30 anni che hanno emigrato. Cosa non sta funzionando? Dove vanno i più bravi ci interessa moltissimo come italiani, e naturalmente ci preoccupa, perché un milione di giovani sotto i 30 anni che lavorano all’estero sono molti. Sono ragazzi e ragazze molto bravi, hanno minori certezze che nel passato, ampliano la loro formazione personale e professionale e si spendono nel mercato del lavoro globale. In una famiglia che conosco un fratello è rimasto all’estero, l’altro è rientrato in Italia. Per chi vorrà rientrare, è certo che ci sarà un mercato del lavoro importante in Italia, ed è molto probabile che tale mercato migliorerà, colmando, almeno parzialmente, i gap competitivi con alcuni mercati esteri. Più in generale sulla demografia, sono favorevole a politiche più efficaci d’incentivazione della natalità in Italia, cercando di adeguarci alla Francia, che in questo settore è tra i leader europei, quantomeno nel “quantum” diretto o indiretto di supporto. Sono infine favorevole alla convivenza e al rispetto reciproco di culture diverse, inclusa la cultura della coppia genitoriale, anche perché senza il rispetto e l’accettazione piena delle diversità del prossimo non può esserci una società inclusiva. Grazie. PROTAGONISTI

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